Ci hanno insegnato fin da piccoli ad imparare dagli errori commessi. L’apocalisse del Vajont, di cui ricorre tra qualche giorno (il 9 ottobre) il 61esimo anniversario, non va dimenticata. Come non va scordato il fatto che la causa di questa tragedia immane non è da imputare alla natura ‘cattiva’ che ci ha voluto punire perché non la rispettiamo e non la salvaguardiamo, ma a noi, all’uomo, che anche di fronte alle evidenze scientifiche e alle numerose avvisaglie del pericolo, ha voluto girarsi dall’altra parte. Ormai lo sappiamo: prima della realizzazione di quest’opera ci fu chi, per competenza, da scienziato, mise in guardia del rischio a cui ci si stava esponendo. Prima di quella maledetta notte del 1963, c’era stata già una frana, il 4 novembre 1960, e diverse scosse di terremoto. E comunque non si è deciso di fare qualcosa, di agire immediatamente. Per questo motivo circa duemila persone sono morte, interi paesi sono stati spazzati via come se fossero stati modellini di carta. Un’onda di 50 milioni di metri cubi, provocata da una frana del monte Toc che causò la tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso, ha cancellato prima Erto e Casso e, successivamente, parliamo di minuti, Longarone, Vajont, Castellavazzo e poi Pirago, Rivalta, Villanova e Faé. La diga non collassò, però, è ancora lì ridotta ad una sorta di macabra meta turistica. Si erge intatta e voglio pensare che serva come monito per non dimenticare e per far sì che l’esperienza drammatica vissuta possa essere di insegnamento per le generazioni future. Ma anche per noi oggi. Proprio in queste ore continua e si infiamma il dibattito sulla realizzazione di un’altra opera: la diga del Vanoi al confine col Trentino. Si discute per dar vita ad un invaso di 33 milioni di metri cubi. Il motivo? Si parla di un programma strategico per contrastare i periodi di siccità a cui ci sta costringendo la crisi climatica. Non sono contrario a priori alla costruzione di nuove dighe, ma credo sia doveroso prima dar voce a studi approfonditi. Ho letto che il manufatto non è stato ancora finanziato e spero che prima di farlo si sia certi che la nuova diga sia sicura e non si trasformi in un’altra catastrofe. Sarebbe opportuno, prima di pensare ad una qualsiasi progettualità, che sia il Vanoi o altro, coinvolgere la popolazione, garantire certezze e smetterla di calare le opere dall’alto. Prima di costruire, prima di intervenire in maniera impattante sul territorio (qui ci sono nato e ci vivo), già per sua natura fragile, è assolutamente importante verificare altre soluzioni. Lo dobbiamo fare guardando la diga del Vajont che, una volta eretta, ci ha riempito di orgoglio di fronte al resto del mondo per la sua eccezionale altezza, oltre 260 metri. E oggi ci ricorda il dolore per la morte di tanti innocenti, tra cui 487 bambini.
Roberto Toigo, segretario generale della UIL Veneto