Anniversario della catastrofe del Vajont. La grande diga è ancora in piedi come monito, non facciamo lo stesso errore con Vanoi

Tra qualche giorno ci sarà l’anniversario della tragedia del Vajont. La diga che ancora si erge intatta sembra essere lì come monito per non dimenticare e per far sì che l’esperienza drammatica vissuta possa essere di insegnamento per le generazioni future. Sono trascorsi 60 anni da quella notte, era il 9 ottobre del 1963. Una frana precipitò dal monte Toc causando la tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso. Un’onda violenta oltrepassò la diga inghiottendo Longarone. Il bilancio fu di quasi 2mila morti.  Prima della realizzazione di quest’opera ci fu chi, per competenza, da scienziato, mise in guardia del rischio a cui ci si stava esponendo. La fragilità di quell’area era evidente ma fu sottovalutata. Io non sono un geologo, non me ne intendo di rischi idrogeologici, di invasi e dighe. Ma se uno scienziato, un geologo in questo caso, mi avverte che un rischio c’è, lo ascolterei anche spingendomi oltre, non dando seguito alla costruzione del manufatto. Dobbiamo finirla di sperare nella fortuna, magari con la vita degli altri. Lo dico con forza in quanto oggi c’è un’altra diga da realizzare su cui è acceso il dibattito, quella del Vanoi al confine col Trentino. Lì si discute per dar vita ad un invaso di 33 miliardi di metri cubi. Il motivo? Si parla di un programma strategico per contrastare i periodi di siccità a cui ci sta costringendo la crisi climatica. Peccato che anche in questo caso gli scienziati, almeno qualcuno, si sono espressi. La preoccupazione è dilagante tra i più competenti fino alle persone che in quelle zone vi abitano. Lì vicino ci abito anch’io e la faccenda non mi è per nulla indifferente. Si parla di quest’area come una zona a rischio idrogeologico per i fenomeni franosi che si sono verificati e si stanno verificando ancora oggi. Eppure, anche di fronte all’evidenza e al dubbio che si è maturato sull’opera, sembra che non si voglia fermarsi a riflettere. Comprendo la necessità di trovare soluzioni per garantire ai cittadini una riserva idrica soprattutto nei momenti in cui la pioggia scarseggia. Lo capisco benissimo, ma è necessario, facendo memoria della catastrofe del Vajont, non essere affrettati, soprattutto se chi ha competenze in materia accende un alert. Non è accettabile pensare che, oltre a questa nuova diga, all’orizzonte non ci siano altre alternative per recuperare acqua. Se continuiamo a sottovalutare quanto sfruttiamo le nostre risorse e l’ambiente che ci circonda e ci ospita, rischiamo davvero di ripetere sempre gli stessi errori. L’ambiente è la nostra casa e come tale dobbiamo preservarla, dobbiamo proteggerla, dobbiamo comprendere quando non la stiamo rispettando. Forse per qualcuno queste parole avranno il sapore di un discorso squisitamente ambientalista se non quasi di natura bucolico, ma non è così: sull’ambiente va fatta una riflessione profonda evitando il più possibile interventi impattanti che, invece di spingerci verso il futuro, rischiano di farci del male. Ce lo ricorda la diga del Vajont, che una volta eretta ci ha riempito di orgoglio di fronte al resto del mondo per la sua eccezionale altezza, oltre 260 metri. Oggi ci ricorda la morte di tanti innocenti.

Roberto Toigo, segretario generale della UIL Veneto