“Una volta la frase di rito, dopo un colloquio di lavoro, era “Le faremo sapere”. Oggi la frase ricorrente proviene dal candidato all’impiego: “Vi farò sapere”. Le parti si sono capovolte: non è più il datore di lavoro che sceglie e decide, ma è chi sta cercando il lavoro a offrire la propria disponibilità. Il lavoratore, cioè, a differenza di qualche anno fa, si fa meno problemi a dire anche un “no, non vengo a lavorare in quest’azienda”.
Questo cambiamento di paradigma è stato al centro dell’Assemblea Regionale di Uil Veneto, che si è tenuta stamattina al Centro card. Urbani di Zelarino (Mestre), durante la quale hanno portato il loro contributo Luca Romano (Direttore LAN Network), Luca Pezzullo (Presidente dell’Ordine degli Psicologi del Veneto), Giorgio Gosetti (Professore di Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro all’Università di Verona).
“I giovani di oggi ci pongono di fronte ad un cambiamento di approccio”, ha dichiarato Roberto Toigo, segretario generale di UIL Veneto. “Non c’è più il mito del lavoro fisso: se arriva bene, ma deve essere proprio quello che si brama e deve conciliarsi con altro. I giovani non hanno paura di dimettersi e di cambiare lavoro, anzi lo fanno frequentemente. Un atteggiamento che non dev’essere letto per forza in maniera negativa: un cambiamento che invece va approfondito e studiato in maniera adeguata. I giovani, inoltre, non temono di fare esperienze lavorative all’estero. E chi pensa che chi espatria sia solamente colui che vuole prendersi un anno sabbatico lavorando in un bar o in un negozio, sbaglia di grosso. Nel biennio successivo al Covid, tra chi emigra dei nostri ragazzi è in aumento la quota di laureati: 5000, quasi uno su due, vicini al picco del 2019. Sono fenomeni che dobbiamo comprendere e accompagnare, di cui discutiamo con le istituzioni e con le parti datoriali, perché a monte di tutto c’è la necessità di avere un’idea del futuro di questa regione. Il mondo cambia sempre più velocemente, Il PNRR spinge sulle transizioni, soprattutto ecologiche e digitali. Questo vuol dire che le nostre aziende dovranno riconvertirsi, per non soccombere. Bisognerà riprofessionalizzare i lavoratori in attività e formare i giovani che si immetteranno nel mercato del lavoro. Siamo pronti a fare questo? I giovani vedono prospettive? E il sindacato è pronto ad adeguarsi a questi cambiamenti? Sono le domande che ci siamo fatto oggi. Dobbiamo avere il coraggio di metterci in discussione e dare le risposte giuste a queste trasformazioni”.
“Il mondo del lavoro – ha aggiunto Luca Pezzullo – sta attraversando una trasformazione rilevante, in relazione alle aspettative e investimenti identitari delle giovani generazioni: mentre per le generazioni precedenti il proprio ruolo lavorativo era il motore fondativo dell’identità personale, tale da richiedere e spingere a fare investimenti esistenziali di lungo termine, negli ultimi anni i giovani e i giovanissimi sembrano più considerarlo solo uno degli elementi accessori del proprio mosaico identitario personale. E’ una componente sempre importante, ma va integrata con altri valori che sono gli affetti ed il tempo libero. Da “variabile indipendente” delle nostre traiettorie biografiche, ora quello della scelta, cambiamento e investimento sul proprio “tempo al lavoro” sta diventando sempre più una “variabile dipendente”, rispetto alla centralità della realizzazione dell’identità personale, vista forse in modo più equilibrato e flessibile, e meno centrata sulle sole dimensioni professionali”.
Secondo il sociologo del lavoro Giorgio Gosetti, “Un dato dal quale dobbiamo partire è quello della eterogeneità della popolazione giovanile. Spesso siamo portati a darne una lettura massificata, ma il mondo dei giovani è molto diversificato al suo interno ed è caratterizzato da orientamenti diversi anche nei confronti del lavoro. Si parla ormai da alcuni anni di una pluralizzazione dei significati che i giovani attribuiscono al lavoro, legata più in generale a un processo di de-ideologizzazione del lavoro. Il lavoro per i giovani è sicuramente ancora una dimensione importante, ma non è più al centro della vita. Questo cambiamento culturale si relaziona con mutamenti strutturali che vediamo nel mondo del lavoro e che riguardano primariamente i modelli organizzativi: si intensificano i processi di flessibilizzazione del lavoro e di digitalizzazione tanto che, in alcune realtà lavorative, è sempre più difficile disegnare con precisione un confine fra lavoro e vita. Un fenomeno, in particolare, che sta interessando i sociologi del lavoro è quello della polarizzazione, quindi del distanziamento fra una fascia alta e bassa del mercato del lavoro, che si stanno allontanando relativamente alla qualità del lavoro e della vita lavorativa. È all’interno di questo scenario che vanno interpretati i processi di dimissione, che forse dovremmo leggere anche in termini di transizioni fra lavoro e lavoro, e di costruzione/ridimensionamento delle aspirazioni della popolazione giovanile”.
Durante l’assemblea regionale è stato presentato lo studio che UIL Veneto ha commissionato a Local Area Network: un’occasione strategica per il sindacato per analizzare in profondità i dati strutturali e cercare di capire come sta cambiando il rapporto delle persone, soprattutto dei giovani, con il lavoro.
“E’ un mercato del lavoro che conferma caratteri di particolare robustezza e vivacità, ma che si segnala – ha dichiarato Luca Romano, direttore di LAN – per un cambiamento in termini di velocità della variabilità, cicli brevissimi che soppiantano quelle che eravamo abituati a chiamare tendenze di medio periodo”.
“C’è un grande dibattito sul tema delle dimissioni volontarie dal posto di lavoro – ha detto Romano – anche quando è a tempo indeterminato. Nel 2022 in Veneto ne abbiamo avute 232.365 con un aumento del 17% sull’anno precedente. Siamo di fronte a una tendenza alla crescita? Non lo possiamo ancora dire. Nel primo trimestre 2023 le dimissioni calano rispetto allo stesso periodo del 2022 del 5,2%, quindi c’è bisogno di cautela. I settori più interessati riguardano maggioritariamente l’industria, il turismo, la logistica e i servizi alla persona; i part time, gli under trenta, i laureati”.
“E’ emersa – ha commentato il presidente dell’assemblea Brunero Zacchei – l’importanza per i giovani di stare meglio dentro e fuori il luogo del lavoro. Noi non sappiamo quanta consapevolezza ci sia in loro ed in quanti di loro, ma è certo che i giovani stanno in qualche modo cambiando le regole del gioco e noi pensiamo quindi sia importante e necessario, per il sindacato, cercare di comprenderla”.
SINTESI DELLO STUDIO:
Nel 2021 i saldi occupazionali tra assunzioni e cessazioni, per fare un esempio, attestano alcune novità: titoli di studio alti prevalenti su una scolarizzazione bassa, un terziario trainante, soprattutto turismo, commercio e servizi alla persona; allo stesso tempo, però, crescita di rapporti di lavoro part time (vicino al 40% del totale), contratti a tempo determinato oltre quattro volte più dei tempi indeterminati. Sono evidenti i segni del “rimbalzo” post covid, della ripresa dei consumi e della produzione.
Il volto del mercato del lavoro del 2022 muta repentinamente di segno. Si verifica una straordinaria crescita di contratti a tempo indeterminato: 38.450 (più che quintuplicati rispetto all’anno precedente), con una caduta verticale dei contratti a tempo determinato, ottimo andamento occupazionale nell’industria, in particolare il Made in Italy e le costruzioni, una discesa verticale dei servizi proprio nei comparti brillanti nel 2021: commercio, turismo, servizi alla persona. La bassa scolarizzazione dei neo inseriti supera quella alta, soprattutto nell’industria, però allo stesso tempo scendono in modo consistente le professioni non qualificate.
Uno sguardo al primo trimestre 2023 ci dice, in totale contraddizione con l’anno precedente, i contratti a tempo determinato ritornano sopra gli indeterminati, c’è una forte ripresa del lavoro in somministrazione, il terziario, in particolare il turismo, va molto meglio dell’industria.
Il lavoro povero non dipende solo da salari insufficienti, ma dai tempi di lavoro in un anno, dal reddito famigliare e dal ruolo redistributivo dello stato. Il reddito del lavoro povero è calcolato come inferiore al 60% del reddito mediano. nel 2006 riguardava il 10,7% dei redditi da lavoro, nel 2017 il 13,2%, quindi è in aumento. La presenza di lavoro povero è molto condizionata dal settore di appartenenza. Per fare un esempio, riguarda il 64,5% dei lavoratori di accoglienza e ristorazione e solo il 5% di chi lavora nella finanza.
Smart working: nel 2022 è diminuito e nel 2023 si stabilizza sui 3.600.000 lavoratori in Italia, ma all’interno cresce la componente delle grandi imprese.





