In più di 5000 dal Veneto allo sciopero generale

Saranno almeno 5000 le lavoratrici e i lavoratori, le pensionate e i pensionati del Veneto che – in autobus, in treno, con le auto private – partiranno giovedì 16 dicembre per partecipare, in parco Sempione a Milano, alla manifestazione del Nord Italia in occasione dello sciopero generale.

Uno sciopero che coinvolgerà tutti i settori pubblici e privati del nostro territorio, esclusi quelli della Sanità e ovviamente nel rispetto delle regole per ciò che riguarda i servizi essenziali. Sono tante le ragioni che hanno spinto Cgil e Uil ad indire questa giornata di protesta e di mobilitazione.

A partire dalla manovra fiscale che, se rimaniamo alla nostra Regione, lascia senza benefici significativi l’80% dei lavoratori. Un dato che emerge dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi raccolti dai servizi fiscali dei due sindacati. Si tratta di un campione di circa 100.000 lavoratori e pensionati: il 26,5% dei quali rientra nel primo scaglione Irpef (che arriva fino ai 15.000 euro lordi annui) e che non otterrà alcun beneficio dalla modifica dell’imposta sulle persone fisiche; il 53,6%, invece, appartiene al secondo scaglione (che arriva a 28.000 euro lordi l’anno) e risparmierà 132 euro. Nel terzo scaglione (tra 28.000 e 50.000 euro) rientra il 18,4% dei lavoratori, che avranno vantaggi per 432 euro l’anno. La parte più fortunata (sopra i 50.000 euro) è appena l’1,5% del totale, e otterrà 593 euro l’anno.

Le cose vanno anche peggio per i pensionati, visto che l’86% è sotto i 28.000 euro. Per non parlare delle donne e dei giovani: l’87% delle prime otterranno benefici tra 0 e 11 euro lordi al mese; idem per il 92% dei secondi.

La situazione non muta se si considerano i singoli settori. I più penalizzati sono quelli del commercio e del terziario, dell’agroalimentare, della logistica. Ovviamente il lavoro precario è quello che ne esce peggio, con il 98% escluso da risparmi consistenti. Questo è l’effetto strutturale delle modifiche delle aliquote dell’Irpef, attenuato dai fondi destinati al “caro bollette” e da 1,5 miliardi destinati alla decontribuzione. In entrambi i casi, però, si tratta di misure tampone, che durano per qualche mese o al massimo per un anno.

Ma non è solo il fisco – dichiarano Christian Ferrari, segretario generale Cgil Veneto, e Roberto Toigo, segretario generale Uil Veneto – alla base dello sciopero. Anche se l’ingiustizia sociale della scelta dell’Esecutivo di intervenire sulle aliquote e non sulle detrazioni è la più palese. E la riforma che potrebbe essere definita l’anno prossimo, sulla base della delega approvata dal Parlamento, potrebbe dare un’ulteriore colpo alla progressività fiscale.

La seconda ragione riguarda la riforma della previdenza, con il tavolo promesso dal Governo che non è stato ancora convocato. Segno che non si intende aumentare gli appena 600 milioni di euro destinati nella legge di Bilancio al superamento di quota 100. Quelle risorse e la quota 102 decisa per il 2022 danno risposte a meno di 10.000 lavoratori a livello nazionale, appena un migliaio a livello veneto. Ma la nostra esigenza di fondo è il cambiamento della Legge Fornero, che penalizza soprattutto le nuove generazioni le quali – senza una pensione contributiva di garanzia – rischiano di andare in pensione oltre i 70 anni e con assegni, nella gran parte dei casi, sotto la soglia di povertà. Quella legge, inoltre, non va incontro alle esigenze delle lavoratrici, dei lavoratori precoci e di chi svolge mansioni usuranti.

La terza questione che abbiamo messo al centro della nostra piattaforma riguarda la precarietà, che da lavorativa si sta sempre più trasformando in esistenziale, con i nuovi lavoratori veneti assunti per oltre l’80% con contratti a tempo determinato, a chiamata, con lavoro somministrato, che non consentono di costruirsi una prospettiva di vita sicura e dignitosa. È quanto sta avvenendo con un Pil che cresce al ritmo del 6%, e le cose non potranno che andare peggio quando finirà l’effetto rimbalzo che sempre segue a una recessione pensatissima come quella determinata dalla crisi sanitaria che ha colpito il nostro Paese.

C’è infine l’enorme problema delle crisi aziendali, che stanno falcidiando il nostro territorio, spesso per mano di multinazionali che smantellano insediamenti produttivi che hanno un mercato e produzioni di qualità, alla ricerca del massimo profitto in Paesi con costi del lavoro imparagonabili ai nostri. Una legge che contrasti le delocalizzazioni non è più rinviabile.

Chi contesta la nostra scelta – concludono i due sindacalisti – sostiene che non è questo il momento per scioperare. Noi invece crediamo che sia esattamente questa la fase per pretendere il cambiamento, perché oggi, non domani, si comincia a costruire l’Italia del post pandemia (una pandemia che, peraltro, siamo ancora lontani dallo sconfiggere definitivamente e che deve ancora vederci tutti impegnati nel contrasto al contagio). 

Il Covid ha acuito le diseguaglianze e la sofferenza sociale, e non è accettabile che le risorse non vadano destinate a rimediare a questa situazione.  Gli stessi fondi del Pnrr, se non vincolati alla creazione di un’occupazione stabile e di qualità, rischiano di trasformarsi nell’ennesima occasione mancata, un’occasione peraltro irripetibile.

Se non si cambia modello di sviluppo, le sfide della transizione digitale e della conversione ecologica del tessuto produttivo, non riusciremo a vincerle. Sempre che vincerle significhi, per tutti, migliorare le condizioni delle fasce popolari e non scaricare su di loro, per l’ennesima volta, i costi delle enormi trasformazioni in corso.

Per tutte queste ragioni saremo a Milano giovedì prossimo e ci asterremo dal lavoro, con l’obbiettivo ambizioso ma irrinunciabile di preparare un futuro all’altezza dei bisogni e delle aspettative dei cittadini veneti e italiani, e in particolare delle nuove generazioni che non possono perdere la speranza di realizzarsi nel nostro Paese”.